Castagnata a Lugone
E se provassimo a tornare indietro di cento anni? Troppi? Cinquanta andrebbe meglio? Quanto tempo verrebbe da dire… ma in effetti sono ben poca cosa se rapportati ad altre misure temporali.
Anni sessanta: il boom economico. La televisione in bianco e nero solo per pochi eletti; i primi elettrodomestici; l’auto alla portata di tutti.
In effetti, il dopoguerra ha portato un cambiamento radicale a livello sociale in Europa e, di conseguenza anche da noi. La gente ha cominciato a muoversi più velocemente. Ha potuto spostarsi nei luoghi dove c’era il lavoro e quindi ha avuto la possibilità di crearsi un tenore di vita sufficiente per potersi permettere uno stile di vita che, fino a pochi anni prima, era riservato a pochi eletti. Bene!
Erano finiti i tempi dell’ignoranza collettiva, della passività sociale inculcata da secoli di sottomissione psicologica da parte della nobiltà e del clero. Bene!
Però, pensandoci bene, abbiamo in gran parte sprecato questa grande opportunità. Avete mai parlato con una persona che abbia passato i settant’anni? Una delle cose che sicuramente vi dirà, è che, quando era giovane, ci si divertiva di più con molto meno. Bella forza: facile divertirsi quando si hanno vent’anni… Già. Logico.
Ma come facevano a divertirsi di più se non c’erano i social, gli eventi mondani, le kermesse sportive, le tendenze… Semplicemente si incontravano. Avevano relazioni interpersonali. Persona con persona, famiglie con famiglie, comunità con comunità. E ci si aiutava. Tutti.
Le donne facevano “scalfin”; gli uomini intrecciavano “gerli” e “cavagnoo”; mentre i bambini ascoltavano le storie raccontate dai vecchi e imparavano a rispettare chi ne sapeva più di loro.
Oggi non c’è più tempo per queste cose. Ognuno sa già quello che deve fare. I vecchi? Ufff… un peso inutile, anche per la società.
Nelle società tribali, l’esperienza tramandata è sempre stata considerata di grande valore. L’anziano era il saggio. La sua parola aveva un peso.
Perchè si è persa questa regola fondamentale di vita? Non cerco una risposta. So solo che a me non va e voglio fare qualcosa perchè il sapere che molti hanno, non vada perso.
scalfin – lavoro a maglia
gerli e cavagnoo – gerle e cestini o panieri
Ho fatto una piacevole chiacchierata con…, la mamma di Eleonora. Una vispa signora di novant’anni consapevole della sua fortuna nel mantenere una propria autosufficienza e lucidità, ostentata con una punta d’orgoglio e a ragion veduta.
E’ stato bello sentirla raccontare della sua infanzia con la nonna, mentre i genitori lavoravano nei campi. C’era tanta riconoscenza nelle sue parole per quella donna che, con modi anche severi, l’ha tirata grande alla moda vecchia come mi ha detto lei stessa. Ma dietro queste maniere, forse brusche agli occhi di una bambina, c’era tanto altro.
Ha ricordato di come non mancasse mai da mangiare sulla tavola, anche se il più delle volte era solo polenta con l’uovo in “cereghin” o la “balota” a mezzogiorno e minestrone la sera. Ma questi cibi semplici, venivano cucinati con cura e insaporiti con maestria. Nessuna cucina a gas con timer incorporati: solo la fiamma o la brace del camino e seconda della pietanza da cuocere. Era un’arte quella.
Mi ha detto anche di quando, da ragazza, andava con le amiche a lavorare al “Burgatt”. A piedi estate e inverno, ma quando ritornavano, cantavano fino a casa, e scherzavano, e ridevano. Sicuramente non sarà stato così tutti i giorni, ma se il ricordo che ne ha è questo, vorrà pur dire qualcosa.
Era una vita che aveva altri ritmi, altri valori. La Festa era Festa sul serio. In quelle Comandate si mangiava la carne di qualche animale da cortile e i dolci ad hoc della ricorrenza (me li ricordo anch’io i tortelli di S. Giuseppe). La mortadella del maiale, aveva il suo giorno per far comparsa nel menù.
Sicuramente anche la signora… avrà avuto le sue privazioni. A quei tempi erano pochi quelli ricchi materialmente, ma chissà perchè, erano tutti più ricchi spiritualmente. E non sto parlando solo di aspetto religioso o quant’altro. Era una ricchezza interiore fatta di rispetto per la vita. E oggi un po’ manca, a dire il vero, il rispetto.
Non voglio dire con questo che “si stava meglio quando si stava peggio”. Oggi la vita è sicuramente più piacevole, o perlomeno ha tutti gli atout per esserlo. Il fatto è che non tutti sanno apprezzare questo fatto. C’è una frenesia nell’aria che coivolge le persone. Basterebbe poco per trovare il tempo di riflettere un attimo. Se tutti lo facessero, sono certo che le cose migliorerebbero, in ogni senso.
E poi, per dirla con le parole della signora…: “oggi ognuno pensa troppo per se”.
Pochi si acontentano di quello che hanno, vogliamo tutti di più. Dobbiamo rimpiangere i tempi in cui, per far felice una bambina bastavano una “miascia” o il “paradell”? No. Ma qualcosa di quell’epoca, oggi manca, di questo ne sono certo.
uovo in cereghin – uovo all’occhio di bue
balota – polenta appallottolata con all’interno del formaggio, cotta nella brace viva
miascia – focaccia di latte e farina con la frutta
paradell – sorta di frittella fatta con una pastella di farina e latte o farina ed acqua a seconda del luogo
Miascia.
Ingredienti:
Latte scremato, farina, frutta (mele o pere), un pizzico di sale e poco zucchero.
La miascia, è una focaccia che veniva fatta stemperando la farina nel latte che rimaneva dopo averci fatto il burro. Ci si aggiungeva della frutta a pezzi e un pizzico di sale. Si preparava una buona brace con la legna adatta (Carpino o faggio). Si metteva l’impasto non troppo denso dentro una teglia posta sulla graticola al di sopra della brace alla quale venivano aggiunti dei… di granturco per dare la giusta caloria; qualche fiocco di burro e si copriva con il “test”, un pesante coperchio di…. Oggi si può benissimo usare il forno. A fine cottura, una leggera spolverata di zucchero.
Passeggiata a Varò
Sabato 16 e domenica 17 maggio 2015 prima uscita organizzata dall’Associazione LariOm all’alpeggio di Varo, nel cuore dell’oasi naturale della Val Sanagra, nel comune di Plesio (CO). E’ una splendida giornata di sole e azzurro cielo, e così sarà anche domani
All’evento partecipiamo in 18 persone, fra cui 5 bambini, un’infante, la piccola Diana, un adolescente e due cani: Shanti e Cherry.
Per raggiungere l’alpeggio seguiamo due strade diverse: Enrico, Gimba e Giulia salgono da Grandola ed Uniti fino a Naggio, ai monti di Gottro e proseguono per qualche chilometro lungo la strada sterrata fino all’alpeggio di Leveja, dove la strada finisce. Da lì imboccano il sentiero che scende al fiume e porta a Varo in circa un’ora di cammino.
Il resto della comitiva sale a Plesio fino allo stabilimento dell’acqua Chiarella. Lì parcheggiamo le macchine tranne una Panda 4×4 che ci servirà per trasportare per metà strada zaini e bambini.
Da li sale una strada privata asfaltata (chiusa con una sbarra), si cammina per trenta minuti e si raggiunge una cappelletta in prossimità di un incrocio di sentieri. Imbocchiamo quello contrassegnato con il cartello rosso e bianco barrato del sentiero delle quattro valli – numero 3. Abbiamo scelto di percorrere questa strada, lunga più del doppio dell’altra, perché più adatta alle famiglie con bambini piccoli.
Occorrono oltre due ore abbondanti di cammino per arrivare a Varo, pertanto decidiamo di concederci una lunga pausa in località Tampia, a metà strada.
Il tratto finale del sentiero attraversa un bellissimo bosco di faggi secolari nel quale regna un’atmosfera magica. Ti aspetti da un momento all’altro di vedere uno gnomo o qualche altro essere silvano, apparire per poi scomparire subito dietro un tronco, oltre un masso, fra le foglie consumate.
Attraversato il fiume siamo arrivati all’alpeggio di Varo che ti accoglie col suo verdissimo pascolo incastonato fra boschi fitti e in gran salute. Due fabbricati sono tutti per noi, perfettamente attrezzati dagli amici dell’Associazione amici di Varo: una ventina di posti letto, la cucina, la tettoia con due grandi tavoli di legno, il camino interno, il focolare fuori, le griglie, le piode, il forno per il pane, la fontana, il bagno con il boiler a legna per l’acqua calda…
Giulia, Gimba ed Enrico sono già arrivati, hanno aperto le porte e le finestre e ci vengono incontro. Familiarizziamo con gli spazi e ci sediamo a mangiare il pranzo al sacco, ma c’è la nascita di LariOm da festeggiare! Eleonora ha avuto l’idea di realizzare un mandala con il contributo di tutti.
Ha chiesto al creativo del gruppo, il maestro Enrico, di stilizzare il Lago di Como su una pezza di seta bianca e ha invitato grandi e piccini a vagare nel bosco e nel prato alla ricerca di scaglie di flora, fiori, pigne, sassi, selci, cortecce, muschi e quant’altro fosse fonte di ispirazione.
Ci ritroviamo assieme intorno al mandala e lo componiamo con i 4 elementi più lo spazio tridimensionale. Il sole inonda la valle e noi in cerchio danziamo celebrando e ringraziando la nostra grande madre Terra. LariOm!
Edo e Gimba intanto si danno da fare per preparare la polenta, nel paiolo sul fuoco all’aperto e Diana massaggia chi ha voglia di rilassarsi.
Con calma si procede, accendiamo il forno, prepariamo bruschette aglio olio e pomodoro, qualche salsiccia sulla griglia, finchè arriva l’ora di preparare la tavola per la cena, 18 piatti sui tavoloni sotto la tettoia.
Le bimbe tagliano a tocchetti il formaggio, si prepara il burro fuso e l’aglio e quando la polenta è cotta eccola condita e servita: gustosa e gustata.
(foto e video: bimbe che tagliano il formaggio, il tavolo, la polenta)
Un bel caffè maestro, quattro parole, ci conosciamo tutti un po’ di più, sorridendo e abbracciandoci. Una partita a trucco, un liquore, cala la notte, s’addormono i bambini, uno ad uno anche gli adulti ed il pascolo di Varo si popola di cervi e di cerbiatti, indisturbati, come sempre in questo luogo di rispetto.
Sogni, poi il mattino, il primo che si alza, un altro, un’altra, tutti uno dopo l’altro. Ci ritroviamo in cucina a bere caffè e mangiare Braschin, leggendo passi del Vangelo che abbiamo commentato e teorie dei fisici moderni sulla curvatura dello spazio e sull’immensità migliaia di miliardi di galassie.
Per fortuna che Susanna ci guida fin sotto il grande faggio al limitar del bosco, e con l’aiuto di Stefano dedichiamo un’ora alla pratica dello yoga e dell’ascolto di noi a piedi nudi sul soffice tappeto d’erba, con il vociar del fiume in sottofondo.
I bambini giocano e ci guardano di tanto in tanto e così fanno anche i cani. Grazie. E’ ora di pensare al pasto di mezzogiorno: risotto con le ortiche. Alcuni bravi volenterosi raccolgono le cime più delicate di questa pianta ricca e delicata, mentre ci organizziamo per preparare quanto ci servirà.
Il risotto verrà cucinato nel paiolo, sul fuoco, e prenderà un gusto antico, affumicato, con delle note di cenere e carbonella assai appropriate.
In tempo per il pranzo ci raggiunge l’elfa Mery ed il suo cane Andrea. La tavola è imbandita, amici, uomini e donne, bambini, la natura, il sole, il verde brillante dell’erba giovane, il fumo del fuoco, il fiume, sorrisi, il vino, le parole, sguardi, libertà…
Sono 24 ore che i ragazzini scorrazzano liberi, senza televisione e senza che noi genitori non li dobbiamo richiamare e che le sorella di 14 anni non è connessa con il suo cellulare e non può sapere cosa succede nel mondo dei contatti.
Come stiamo bene. La Mery li aiuta a costruire una capanna, Stefano suona il flauto di bambù, ci si rilassa prima di tornare.
Alle 5 del pomeriggio siamo pronti, carichi, in fila indiana, cantando a squarciagola rientriamo dalla selva, ripercorriamo il bosco di faggi secolari, i sentieri assolati circondati dai boschi e, affaticati ma contenti, dopo 9 chilometri e 3 ore di cammino siamo alle auto e torniamo a casa.
LariOm!